30 Giu Quando lo Stato non ha cassa: ripensare la sostenibilità del modello di governance locale
di Francesco Foglia
Il 12 giugno 2025 resterà impresso nella memoria di amministratori locali, responsabili finanziari dei comuni e di tutti coloro che credono nel ruolo centrale dei comuni per lo sviluppo sostenibile dei territori. Non per una ricorrenza celebrativa, ma per una comunicazione del Ministero dell’Interno che ha ammesso ufficialmente l’impossibilità di erogare per intero la prima rata del Fondo di solidarietà comunale a causa della “mancanza di liquidità dello Stato centrale”. Un’anticipazione parziale del 3 giugno, il rinvio a data indefinita del saldo residuo, e soprattutto il blocco delle risorse destinate ai piccoli comuni sotto i 5.000 abitanti, ferme da quasi un anno nonostante la graduatoria pubblicata ad agosto 2024.
La sostenibilità oltre l’ambiente:
quando il sistema finanziario vacilla
Quando parliamo di sostenibilità nel contesto dei comuni, tendiamo spesso a concentrarci sugli aspetti ambientali e sociali degli Obiettivi di Agenda 2030. Ma la sostenibilità ha una terza dimensione, quella economica, che rappresenta il fondamento su cui poggia tutto il resto. Come può un comune sviluppare politiche di transizione ecologica, servizi sociali innovativi o progetti di rigenerazione urbana se non ha certezza sui trasferimenti statali di base?
L’episodio del Fondo di solidarietà comunale non è solo un problema di cassa dello Stato centrale. È il sintomo di una fragilità strutturale del modello di governance che abbiamo costruito negli ultimi decenni, dove i comuni – primi presidi di cittadinanza e protagonisti dell’implementazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile a livello locale – dipendono in modo eccessivo da trasferimenti statali spesso incerti e discontinui.
I piccoli comuni: laboratori di sostenibilità o vittime del sistema?
I piccoli comuni rappresentano il 70% dei municipi italiani e sono spesso considerati laboratori naturali di sostenibilità. Nelle comunità sotto i 5.000 abitanti si sperimenta economia circolare, si preserva biodiversità, si mantengono tradizioni e saperi locali fondamentali per un modello di sviluppo davvero sostenibile. Eppure sono proprio questi comuni a essere più esposti alla volatilità dei trasferimenti statali.
Il paradosso è evidente: chiediamo ai territori di essere protagonisti della transizione sostenibile, ma li priviamo degli strumenti finanziari minimi per garantire i servizi di base. Come può un sindaco di un piccolo comune programmare investimenti per l’efficientamento energetico degli edifici pubblici se non sa quando arriveranno i fondi promessi dal governo centrale?
Ripensare il modello: verso una sostenibilità finanziaria dei territori
La crisi dei trasferimenti statali ci obbliga a ripensare il modello di finanziamento degli enti locali non come un problema contingente, ma come un’opportunità per costruire un sistema più resiliente e sostenibile. Alcune riflessioni emergono con forza:
La necessità di certezza nelle entrate: Il problema non è tanto la ricerca di fonti alternative di finanziamento, quanto la mancanza di prevedibilità e certezza nei trasferimenti esistenti. I comuni hanno bisogno di sapere con precisione e con congruo anticipo di quali risorse potranno disporre per programmare interventi, pagare fornitori, garantire servizi ai cittadini. Quando lo Stato centrale non è in grado di rispettare i propri impegni di trasferimento, si innesca un pericoloso meccanismo a cascata: i comuni si trovano in difficoltà di cassa, sono costretti a rinviare pagamenti e investimenti, compromettono la loro credibilità verso fornitori e partner, riducono la qualità dei servizi offerti. È un circolo vizioso che colpisce proprio quei territori – spesso i più fragili – che dovrebbero essere sostenuti dal sistema di solidarietà nazionale.
Cooperazione intercomunale strategica: Le Unioni di comuni e le forme associative non dovrebbero essere viste solo come strumenti di riduzione dei costi, ma come opportunità per aumentare la capacità progettuale e la forza contrattuale verso soggetti privati e istituzioni sovralocali.
Valorizzazione del patrimonio territoriale: Ogni territorio ha asset specifici – ambientali, culturali, produttivi – che possono generare valore economico se gestiti in modo sostenibile. Il problema non è la mancanza di risorse, ma spesso l’assenza di visione strategica per valorizzarle.
La lezione europea: autonomia nella interdipendenza
L’esperienza dei programmi europei ci insegna qualcosa di fondamentale: la sostenibilità finanziaria non significa autosufficienza, ma capacità di diversificare le fonti e di costruire relazioni virtuose con diversi livelli di governance. I comuni che meglio hanno saputo intercettare fondi europei sono quelli che hanno investito in competenze tecniche, in reti di cooperazione territoriale, in progettualità a medio-lungo termine.
Il principio di sussidiarietà, pilastro dell’architettura europea, suggerisce che le decisioni dovrebbero essere prese al livello più vicino ai cittadini, ma con il supporto dei livelli superiori quando necessario. Il problema del nostro sistema è che questo supporto è diventato dipendenza, e la dipendenza genera fragilità.
Le domande che emergono da una crisi
La crisi dei trasferimenti statali solleva interrogativi profondi che vanno oltre l’emergenza finanziaria contingente. Come possiamo garantire agli enti locali quella stabilità di risorse che è prerequisito essenziale per qualsiasi programmazione seria? È sostenibile chiedere ai sindaci di guidare la transizione ecologica dei loro territori quando non sanno se avranno i soldi per pagare le bollette della luce dei loro uffici?
E ancora: in che misura questo modello di dipendenza dai trasferimenti statali è compatibile con l’obiettivo di rendere i territori protagonisti del loro sviluppo sostenibile? Non c’è forse una contraddizione strutturale nel chiedere autonomia progettuale a chi non ha autonomia finanziaria?
Il caso dei piccoli comuni è particolarmente emblematico. Questi territori, che rappresentano il 70% dei municipi italiani, sono spesso considerati i custodi della biodiversità, delle tradizioni locali, di un modello di vita più sostenibile. Ma sono anche i più esposti alle volatilità dei trasferimenti statali. Come possiamo preservare e valorizzare questo patrimonio se le comunità che lo custodiscono vivono nella costante incertezza delle risorse?
Conclusioni: una crisi che impone riflessioni profonde
Quando lo Stato ammette di non avere cassa per i trasferimenti ai comuni, non stiamo assistendo solo a un problema congiunturale di bilancio pubblico. Stiamo toccando con mano la fragilità di un modello che forse ha fatto il suo tempo. Un modello che chiede ai territori di essere protagonisti della transizione sostenibile, ma li lascia in balia dell’incertezza finanziaria più elementare.
L’episodio del 12 giugno ci costringe a porci domande scomode: è sostenibile un sistema dove i primi presidi di cittadinanza dipendono così massicciamente da trasferimenti statali incerti? È ragionevole chiedere ai sindaci di programmare la transizione ecologica senza garantire loro la certezza delle risorse di base? È equo che i piccoli comuni, custodi di biodiversità e tradizioni essenziali per un modello di sviluppo davvero sostenibile, siano i più esposti a queste volatilità finanziarie?
Forse è arrivato il momento di aprire un dibattito serio e approfondito sulla sostenibilità del nostro modello di governance territoriale. Non per invocare soluzioni miracolose o riforme immediate, ma per riflettere insieme – istituzioni, comunità locali, cittadini – su come costruire un sistema più resiliente, più equo, più capace di coniugare autonomia locale e solidarietà nazionale.
Il 12 giugno 2025 potrebbe essere ricordato come il giorno in cui abbiamo iniziato a guardare in faccia la realtà: un sistema in difficoltà che chiede di essere ripensato. Sta a noi decidere se questa crisi diventerà l’occasione per immaginare un futuro diverso e più sostenibile per i nostri territori.
Autore: Francesco Foglia
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* FRANCESCO FOGLIA
Esperto in fiscalità locale e diritto tributario, laureato in Economia e con una solida formazione giuridica. Vanta un’esperienza ventennale nel settore della fiscalità locale, con particolare focus su IMU, TARI ed altri tributi comunali. Attualmente ricopre il ruolo di Funzionario di ente locale (Area dei Funzionari e dell’Elevata Qualificazione), oltre che di consulente e formatore in materia di tributi locali, supportando gli uffici tributari nell’applicazione delle normative e nell’ottimizzazione dei processi gestionali. Docente a contratto in un master in Economia e Management delle Pubbliche Amministrazioni. Appassionato di innovazione nel settore pubblico, collabora con istituzioni, associazioni e fondazioni per promuovere best practice e strumenti digitali a supporto delle amministrazioni comunali.