Il Reddito di cittadinanza va riformato, non abolito: 8 proposte di Alleanza contro la povertà

Il Reddito di cittadinanza va riformato, non abolito: 8 proposte di Alleanza contro la povertà

Il Reddito di Cittadinanza ha costituito, soprattutto nel corso della crisi pandemica, un argine fondamentale al dilagare della povertà nel nostro Paese. Eppure il dibattito politico intorno a questo strumento continua ad essere acceso. Dal lato assistenziale, sebbene se ne riconosca il ruolo, si obietta che la misura non riesca a coprire una parte rilevante delle famiglie in povertà assoluta. La critica diventa ancor più accesa quando si passa a considerare l’inclusione dei beneficiari dal lato lavorativo, che mostra ancora vistose carenze.

«Il RdC», spiega Roberto Rossini, portavoce dell’Alleanza, «non va abolito, ma riformato affinché sia più efficace nel contrastare la povertà e permettere a chi è caduto in povertà di avere una possibilità di reinserimento sociale. La povertà è complessa, non si riduce alla semplice assenza di lavoro. Riformare il RdC significa quindi accettare la sfida della complessità e della concretezza. Come Alleanza abbiamo lavorato e stiamo lavorando per offrire uno studio approfondito e realistico che dia una risposta in un momento particolare nella storia di questo Paese».

L’Alleanza contro la povertà ha scelto infatti di approfondire l’analisi sulla misura attraverso un attento lavoro di ricerca, condotta da un gruppo di docenti e ricercatori universitari, volta a mostrare in quale modo è possibile superare efficacemente sia le criticità strutturali dello strumento sia le nuove problematiche emerse a seguito della pandemia.

Lo strumento va rafforzato piuttosto che indebolito in termini finanziari anche attraverso la prossima Legge di Bilancio, che non dovrebbe dunque solo limitarsi a destinare le risorse necessarie a coprire il previsto aumento della platea degli aventi diritto.

Otto proposte da sottoporre al Governo e al Parlamento

  1. Non penalizzare le famiglie con minori o numerose: la soluzione ideale e coerente consiste nel far uso della scala di equivalenza ISEE, che accrescerebbe di poco meno di 400.000 il numero di famiglie beneficiarie del RdC, estendendo quindi l’accesso ai nuclei che ne sono attualmente fuori a causa dei parametri restrittivi prescelti. Si accrescerebbe in media di circa 1.800 euro annui l’importo del RdC per le famiglie che già ne beneficiano, con una riduzione della povertà di circa 0,6 punti percentuali ed un costo annuo per il bilancio pubblico di circa 3,2 miliardi.

  2. Non penalizzare le famiglie non italiane: eliminare il discriminatorio vincolo di residenza di 10 anni, riportandolo sul più ragionevole livello di 2 anni previsto per il REI, con un significativo incremento delle famiglie beneficiarie (circa 150.000) – e una caduta di 0,3 punti percentuali del tasso di povertà ad un costo di circa 900 milioni.

  3. Requisiti di accesso più razionali: allentare il vincolo aggiuntivo sul patrimonio mobiliare, prevedendo un innalzamento della soglia per includere coloro che sono poco sopra il margine, o renderlo più flessibile.

  4. Partire col piede giusto accompagnando la presentazione della domanda: reintrodurre i punti unici di accesso previsti per il Rei.

  5. Oltre l’automatismo, la presa in carico (personalizzata) tra CpI e Servizi sociali: reintrodurre l’analisi preliminare del nucleo beneficiario in modo da valutare adeguatamente i suoi bisogni multidimensionali, rivedendo il meccanismo automatico di selezione dei percorsi di inserimento per migliorare la capacità di intercettare il disagio sociale; rafforzare la collaborazione e il coordinamento tra CpI e Servizi sociali territoriali tramite la definizione di protocolli di lavoro congiunto e promuovere l’utilizzo integrato delle banche dati degli enti coinvolti nell’implementazione del RdC (INPS, Comuni, GEPI, MyAnpal).

  6. Progetti utili alla collettività (PUC), utili anche ai beneficiari: rendere volontari i PUC secondo una logica basata sull’empowerment e capacitazione dei soggetti più fragili.

  7. Riformare il reddito di cittadinanza per accogliere i nuovi profili di rischio di povertà: il sostegno economico deve essere una delle due gambe dell’RdC, i servizi per favorire il ritorno al lavoro devono essere l’altra, tenendo conto della nuova platea di poveri. Il Rdc deve prevedere percorsi ben funzionanti e mirati di aggiornamento e miglioramento delle competenze e un nuovo disegno della compatibilità tra RdC e reddito da lavoro, per evitare la trappola della povertà.

  8. Un Reddito di cittadinanza amico dell’occupazione: ridurre l’aliquota marginale (la “tassazione”) applicata al reddito da lavoro, abbassandola dal 100% fino al 60%; aumentare il reddito disponibile da lavoro in combinazione con il sussidio modulando la percentuale di “sconto” fino al raggiungimento di una soglia-limite periodicamente aggiornata, come in Francia.

 

Fonte: Alleanza contro la Povertà